Altrimenti... andate pure avanti....
Ciao a tutti!!! Dopo aver letto il quarto libro ed essere rimasta sostanzialmente insoddisfatta, mi ha colpito un'idea pazza e masochista, che mi ha spinto a scrivere il quinto libro... Lo so che direte tutti che è una cavolata, ma io non voglio restare con quel finale orribile che Paolini ha cercato di infilarci su per il naso, quindi... Ho fatto una delle mie cavolate


Dopo Inheritance
Capitolo 1
CITTÀ DEI CAVALIERI
Saphira volava libera nel cielo senza una nuvola. Nessun drago avrebbe potuto superare la sua maestosità e la sua bellezza, le sue squame lucide e blu che risplendevano nella luce di un tiepido sole primaverile. Virò a destra e scese di poco, quel tanto che bastava per fissare il suo sguardo sulla città di edifici di marmo bianco, che scintillavano quasi come lei. I giardini e le fontane sparse tra le strade della città sembravano zaffiri e smeraldi disseminati in un campo di perle. Saphira sospirò, emettendo una voluta di fumo che assunse curiosamente la forma di una barca a vela, mentre scendeva in picchiata verso il palazzo bianco dove era diretta. L'aria faceva vibrare le sue ali, ma lei era totalmente immersa nel volo, totalmente presa nel volare che si accorse solo alla fine che il terreno si avvicinava troppo velocemente e rallentò di colpo per atterrare com dolcezza sul tetto del palazzo.
- Saphira, eccoti!- esclamò un ragazzino, che poteva avere al massimo quindici anni e che sembrava fosse lì ad aspettarla. Saphira tentò di rivolgergli un sorriso, ma troppo tardi si ricordò che, ogniqualvolta che sorrideva alla gente, quei piccoli coseni chiamati uomini pensavano che volesse mangiarli. Ma il ragazzino non si spaventò e sorrise.
" Ciao, cucciolo d'uomo. Dov'è tuo padre?" domandò Saphira al ragazzino.
- È al campo di allenamento, si sta esercitando. Lo stai cercando?- chiese lui.
" Certo, altrimenti perché te lo avrei chiesto? Comunque, mi sembra che anche tu stia aspettando qualcuno... Sembri una cavalletta pronta a saltare da un momento all'altro" replicò la dragonessa, aprendo leggermente le ali per l'impazienza.
- Vervada deve ancora tornare da caccia... Sono un po' preoccupato- ammise il ragazzo. Saphira fu colpita da una fitta di nostalgia che le ricordò Eragon appena l'aveva conosciuto, sempre ansioso e preoccupato per lei, tanto che le aveva costruito pure una casetta sull'albero... E quella volta che l'aveva scambiata per un drago maschio, non gliel'avrebbe mai perdonato...
- Saphira? Mi stai ascoltando?- chiese il ragazzino, sconcertato dalla sua mancanza di reazioni.
" Certo, cucciolo. Non preoccuparti per Vervada, sono la sua maestra, so che è responsabile e so quello che fa. A volte mi ricordi Eragon, piccolo... Ci pensi che aveva quasi la tua età quando è diventato Cavaliere dei Draghi? E adesso anche tu" gli disse Saphira.
- Com'è stato quando gli hai toccato per la prima volta il palmo?- domandò il ragazzo.
" È impossibile da descriverlo con parole semplici. Deve essere stato lo stesso che è successo tra te e Vervada, Caleb. Ti senti... Completamente realizzato, come se tutta la tua vita si stesse compiendo come l'hai sempre desiderata, come se finalmente avessi trovato il pezzo mancante alla tua identità... Neanche quando ho scoperto il mio vero nome mi sono sentita così completa e perfetta... E tutto grazie al mio adorato Eragon" disse Saphira, rabbrividendo di piacere nel ricordare il momento in cui il suo uovo si era schiuso.
- Già... io non sono così coraggioso da chiederlo a Vervada, ma... beh, insomma come fate a sapere che quello che tocca il vostro guscio è la persona giusta? Come... Come ci riuscite? A me sembra impossibile che tra altre centinaia di persone Vervada abbia scelto proprio me- domandò Caleb, arrossendo.
" Lo sentiamo nel sangue, cucciolo. Nel guscio siamo creature vuote, prive di ogni pensiero coerente. I nostri istinti nell'uovo sono i più primitivi e i più brutali che un drago selvatico possa avere. Vogliamo solo uscire e volare, cacciare e mangiare... Vogliamo solo vivere. L'uovo è buio e possono passare anni prima che scegliamo di vedere la luce. Ci disinteressiamo di tutto ciò che ci circonda, pensiamo solo a noi stessi e non siamo a conoscenza che, appena usciti dall'uovo, la nostra vita resterà legata per sempre a qualcuno. Ma quando arriva quel Qualcuno... beh, è come se il nostro istinto primitivo si spegnesse per sempre, come se cominciassimo a ragionare proprio come un drago che verrà legato a un Cavaliere, come se suonasse un campanellino d'allarme, una sveglia. E allora percepiamo chi c'è fuori e, senza nemmeno pensarci, usciamo pur di vedere chi ha cambiato in meglio la nostra vita. E da lì tutto il resto" raccontò Saphira, infervorata, mentre Caleb la fissava con gli occhi spalancati.
- Cavoli...- mormorò, stupito.
" Parlane con Vervada, Caleb. Solo così diventerete un'entità unica. Solo così sarete Drago e Cavaliere, mi capisci?" lo incoraggiò Saphira.
- Hai ragione. Lei è la mia dragonessa e dobbiamo essere uniti. Grazie, Maestra- disse Caleb. Poi, i suoi occhi si illuminarono, quando un drago molto più piccolo di Saphira si avvicinava velocemente al castello, reggendo tra le zampe anteriori un cervo abbattuto. Il drago, o meglio, la dragonessa di nome Vervada era di uno scintillante color viola, e aveva gli occhi identici dello stesso colore delle ametiste. Certamente non aveva tutta la maestosità di Saphira, che vantava decenni di vita più di lei, ma era comunque uno spettacolo fantastico vederla volare con la stessa grazia di uno stambecco che salta da roccia a roccia.
- Vervada!- gridò Caleb, sprizzando gioia da tutti i pori.
Saphira guardò la dragonessa e il Cavaliere scambiarsi pensieri e affetto e di nuovo la fitta di nostalgia la colpì in pieno come una frustata.
" Eragon è vivo ed è qui con me, Galbatorix è morto da cento anni ormai e qui è diventato il paradiso dei draghi e dei Cavalieri dei Draghi. Questo era il mio sogno più desiderato quando ero ancora piccola. Perché adesso sono così triste? Tutto ca per il meglio!" si disse, non capendo i suoi sentimenti. Poi comprese tutto. Lei ed Eragon si stavano progressivamente allontanando, come se ormai si conoscessero perfettamente e come se non ci fosse più nulla da dire di diverso tra loro. Ma in realtà non era così. Da quanto non facevano un voletto insieme, da quanto non andavano da soli a camminare, da quanto non dormivano accanto al meraviglioso lago appena fuori dalla città? Tanto, troppo tempo. Non poteva andare avanti così.
" Se vogliamo essere dei buoni maestri per questi Draghi e Cavalieri, dobbiamo innanzitutto essere una buona dragonessa e un buon Cavaliere. Il nostro deve essere un legame più forte di qualsiasi altra cosa" ragionò Saphira. Così, decisa a parlare ad Eragon, si alzò in volo.
- Saphira, non dovevi andare da mio padre?- le gridò Caleb.
" Ci sto andando. Statemi bene, Caleb e Vervada" rispose Saphira con la mente, allargando la sua risposta anche alla dragonessa viola che le rispose con un " Grazie, Maestra". Poi Saphira prese quota e si diresse verso l'enorme e sofisticato campo di allenamento poco distante dal palazzo. La sua sagoma scomparve dietro agli edifici imponenti di marmo, ma il bagliore azzurro che emanava si spandeva lo stesso nel cielo.
- Sarebbe bellissimo che noi diventassimo così forti e uniti come Saphira ed Eragon, non è vero, Vervada?- chiese Caleb alla sua dragonessa.
" Diventeremo come loro, Caleb, ne sono certa. E sono felicissima di averti incontrato. Sarei rimasta nell'uovo altre centinaia di anni prima di trovare una persona come te" gli rispose dolcemente Vervada, leccandogli un orecchio.
ALAGAËSIA
Il cavaliere ricoperto dal mantello scese da cavallo e, dopo averlo nascosto dietro ad un albero, camminò lentamente sul sentiero prima di intravvedere la sagoma della persona che lo stava aspettando. Gli stivali scricchiolavano in modo sinistro, mentre si avvicinava lentamente alla persona girata di spalle. Il profilo minaccioso in un'elsa di una spada non parve spaventare l'uomo, che continuò ad avvicinarsi all'altra sagoma, finché non fu proprio alla sue spalle.
- Novità?- sussurrò impercettibilmente.
- Le migliori possibili- rispose l'altro, con voce roca.
- Beh, che aspetti a dirmele?- disse il primo uomo, visibilmente impaziente.
- Il primo sta per nascere, il secondo mi sembra più arretrato, ma comunque tutti e due hanno delle crepe profonde. Fra un po' il nostro piano entrerà in azione- raccontò svogliatamente il secondo uomo, restando voltato di spalle.
- E gli altri?-
- Stanno bene e tutto è pronto. Cibo, selle, armature, protezioni, spade, frecce... Tutto l'occorrente necessario è pronto-
- Perfetto-
La parola galleggiò nell'aria, melliflua, e sembrò ripetersi all'infinito, anche se in realtà il silenzio era totale. Niente in quel luogo sembrava turbare la quiete, il che appariva molto strano all'inizio e molto terrorizzante poi. Ma i due uomini sembravano immuni alla sensazione di pericolo in quella radura.
- Riferisci che il capo è contento. Nient'altro- disse il primo uomo, prima di allontanarsi e di montare di nuovo a cavallo. Il rumore degli zoccoli fu attutito come se la terra fosse ricoperta di neve. Il secondo uomo rimase fermo, impalato, ma sul suo viso si stava allargando come una chiazza d'olio un ampio ghigno.[/color]


