da barbamanta » 17 ottobre 2011, 13:22
siccome ho davvero bisogno di una pausa e rileggendo i vecchi capitoli ho visto che hanno bisogno di una ripulitina,ho deciso di riscrivere i primi nove capitoli...
Capitolo 1-When the life beginns
Mi svegliai di soprassalto,la fronte imperlata da un sottile velo di sudore. Lo stesso incubo,ancora. E così sarebbe stato per tutto il resto della mia vita. Sempre se la mia si potesse ancora considerare vita … io ero morta ormai … ero solo un’ombra,che finge di vivere,aspettando che il mio dolore si trasformi in pazzia,rodendomi dentro.
Con gesto involontario mi guardai intorno. Stessa stanza … nuova casa … nuova città … Nuovo inizio.
Odiavo il nuovo posto,lo detestavo con tutta me stessa. Ma non avrei potuto sopravvivere ancora un solo giorno di più a Miami.Io e Michael avevamo un disperato bisogno di cambiare aria … di dimenticare. Ed ecco che mi trovavo a Forks,una città che disprezzavo,ma di cui avevo bisogno come dell’aria che respiravo. Era così diversa da Miami,così lontana … così sperduta dalla civiltà … Sì,mi avrebbe aiutata a non ricordare più.
Sospirai e mi alzai a sedere sul letto,con lo sguardo ancora impastato dal sonno. Un sottile velo di luce bluastra attraversava la finestra attraverso gli spessi vetri posandosi con mille luccichii di polverine sugli scaffali dell’enorme libreria. Era l’unica nota stonante in tutta la camera … l’unico mobilio che si innalzava come un sepolcro sacro fra i recessi dell’anima di una ragazza che ormai non esisteva più. Perché io non esistevo più … ero niente … NIENTE.
Il resto della stanza era semi vuoto … annegava in un mare di dolore. C’era da chiedersi come facesse una 17enne a sopravvivere così … nessuno può sopravvivere così … solo. Quella stanza così triste,sarebbe potuta apparire soffocante a tutte le persone che l’avessero vista … una trappola … una prigione in cui rinchiudersi da soli per distruggersi lentamente,nei tormenti,nei ricordi che ti rodono l’anima fino a sbriciolarla.
Ma io adoravo la mia stanza. La mia stanza ero io. Rinunciando ad essa avrei rinunciato a me stessa,perché quella stanza era il mio specchio.
Per questo avevo voluto che la mia nuova stanza fosse identica a quella in cui vivevo prima.
Sospirai un’ultima volta ed infine mi decisi ad alzarmi. Il pavimento era gelato e brividi mi percorrevano a intervalli regolari. Mi decisi a muovermi. “Prima inizia questa giornata e prima finisce”,pensai. Aprii il primo cassetto dell’armadietto bianco alla testa del letto e ne tirai fuori dei fusò grigi e una maglia nera con le maniche lunghe abbassate e le spalline bianche. Come primo giorno di scuola poteva andare bene. Presi i vestiti sotto braccio e mi incamminai in bagno. A metà strada vidi mio fratello in boxer che mi veniva incontro. Non mi sorpresi,quando hai un fratello maggiore certe cose non ti fanno tanta impressione. Michael mi somigliava molto,stessi occhi grigi ghiaccio,stessi capelli neri come la pece più scura … stessa aria sperduta,ma dura e resistente di chi ha sofferto,ma ha sempre trovato la forza di combattere per ciò in cui credeva. Di chi cadendo ha sempre trovato la forza di rialzarsi.
Mi rivolse un sorriso stirato:quando mamma e papà erano morti 3 anni prima avevo solo 14 anni,mentre Michael ne aveva 19,così da allora lui aveva preso il mio affidamento.
Mike si avvicinò e con occhi tristi mi sussurrò:”Giorno Grace. Pronta per il tuo primo giorno di scuola?”
Gli risposi senza guardarlo negli occhi,odiavo guardarlo in faccia,non lo guardavo mai in faccia:-Neanche un po’. Anche perché per tutti gli altri il primo giorno di scuola è stato più di 4 mesi fa …
Un leggero pizzico di amarezza appena percettibile aveva incrinato la mia voce verso la fine della frase. Mike doveva essersene accorto perché sospirò in modo quasi impercettibile,ma non abbastanza da non farsi sentire da me. Si spostò e continuò lungo il corridoio verso la sua camera,lasciandomi sola di fronte alla porta del bagno. In un primo momento esitai,ma mi decisi ad entrare e prepararmi per il nuovo giorno.
Mi spogliai lentamente come per ritardare il più possibile l’inevitabile. Mi avvicinai alla vasca e la riempii di acqua bollente e bagno-schiuma alla vaniglia.
Una volta che fu pronta mi lasciai sprofondare lentamente nell’acqua che mi circondava annullando ogni mio pensiero,ogni mio desiderio,chiudendomi e allontanandomi da un mondo di dolore e sofferenze. Non pensai più a niente.
Non sapevo per quanto tempo ero rimasta in quello stato,ma una consapevolezza della realtà mi colse all’improvviso,sferzante,dolorosa e dannatamente reale. La sorpresa mi colse alla sprovvista e le mie membra reagirono altrimenti,trascinandomi nell’acqua che mi sommerse completamente. Con uno scatto di muscoli e nervi feci forza con le mani sui bordi della vasca cercando disperatamente di rialzarmi e quando ci riuscii una tosse convulsa mi investì mentre cercavo di far entrare più aria possibile nei polmoni in cui l’acqua era entrata poco prima soffocandomi e bruciandomi la gola che chiedeva ,pretendeva, l’ossigeno che le mancava.
Un tono di amarezza si impossessò dei miei pensieri. “A quanto pare anche nel mio animo più profondo c’è un briciolo di desiderio di vita”,mi dissi.
Scuotendo la testa uscii dalla vasca e mi avvolsi nell’asciugamano. Con i capelli che ancora gocciolavano sulle lastre bianche e verde oliva del pavimento luccicante mi trascinai fino allo specchio sopra il lavandino. Odiavo vedere il mio riflesso,in esso vedevo tutto il mio dolore. In esso vedevo me stessa,e questo mi spaventava. Quando vedi qualcuno che ti capisce più di quanto tu capisca te stessa,hai paura e cerchi di allontanarti,creandoti una maschera. Ma in quel caso era diverso,io avevo paura non di non essere ciò che gli altri si aspettavano che fossi,io temevo me stesa.
Vidi ciò che vedevo sempre,ogni volta … la stessa immagine,la stessa sofferenza. Niente di nuovo. Con gli occhi lucidi mi scostai dal riflesso e cominciai a vestirmi. Mi asciugai accuratamente i lunghi capelli neri corvini,lasciandomeli poi cadere dolcemente dietro la schiena.
Distrattamente posai lo sguardo sull’orologio da polso che mi ero rinfilata dopo il bagno. 7.50. “Porca miseria!”,pensai.”Sono in un ritardo allucinante”. Sistemai frettolosamente il bagno e schizzai letteralmente fuori dalla porta,correndo in cucina e avventandomi sulla prima fetta di toast che trovai sul tavolo. Mike aveva pensato proprio a tutto …
Lo ringraziai mentalmente e in tre secondi impacchettai lo zaino. Indossai delle scarpe nere con tacco 9(l’altezza non era mai stata il mio forte) e a mala pena mi accorsi del bigliettino sulla porta:
Se lo stai leggendo sei in ritardo. Scusa se me ne sono andato così,ma dovevo andare a lavoro. Buon primo giorno di scuola. Mike.
Sorrisi mio malgrado e ancora con le labbra così incurvate entrai in garage. Tirai fuori dalla tasca le chiavi della macchina e aspettai che si illuminassero i fari della Porsche. Era da tanto,troppo tempo che non la guidavo. Volevo ricominciare da capo. Tornare ad essere Gracy,la ragazzina con una tremenda voglia di vivere. Ma sapevo bene anche io che questo non sarebbe mai successo:la vecchia Grace era morta e sepolta.
E i morti non tornano in vita.
Mai.
Mai è un tempo estremamente lungo.
Con la mente svuotata da qualsiasi pensiero aprii la portiera del guidatore e una volta salita in macchina cominciai a sfrecciare a 180km/h per dimenticare,per non soffrire più,sperando che la velocità allontanasse i pensieri che affollavano la mia mente distruggendo la mia felicità.
Avevo bisogno di questo:di essere felice. Avevo un disperato bisogno di essere felice. Ma non ci riuscivo,né mai ci sarei riuscita.
Io non avevo il diritto di essere felice.
Lo avevo capito da tempo ormai.
……………………………………………………….
Ero fermo nascosto nell’ombra dietro il portone d’ingresso e accertandomi che nessuno mi vedesse osservavo insospettito le miriadi di ragazzi che lanciavano gridolini acuti e ciarlavano inutilmente di pettegolezzi freschi freschi sulla nuova. Nessuno l’aveva ancora vista,non era ancora arrivata.
Non capivo perché aveva deciso di trasferirsi in una città simile … io avrei dato tutto,tutto,per andarmene da qui. Mi guardai un’ultima volta intorno e infine decisi,con una smorfia di disgusto,che non mi andava di tollerare tutte le mosse infantili che avrebbero fatto i liceali per attirare l’attenzione della “Misteriosa”.
Mentalmente le augurai buona fortuna e con indifferenza mi appoggiai al muro alto e aspettai che il giardino si svuotasse degli ultimi curiosi per poi potermene andare per i fatti miei.
Dopo che anche l’ultimo ragazzino se ne fu andato a lezione,tirai fuori dalla tasca del giubbotto il pacchetto di sigarette e ne accesi una,scendendo a testa bassa i gradini di pietra di fronte alla scuola. Ero ancora sull’ultimo gradino quando qualcuno mi piombò addosso,facendomi perdere l’equilibrio:il piede mi scivolò dall’ultimo gradino facendomi cadere insieme al carico che mi aveva fatto inciampare. Istintivamente strinsi forte a me il corpo tremante della ragazza come per difenderla dal dolore e chiudendo gli occhi aspettai il botto che non tardò ad arrivare.
Non sentii dolore. Non posso sentire dolore.
Riaprii le palpebre ed osservai il mio piccolo fagotto. Non era nessuno che conoscessi. Non l’avevo mai vista. Doveva essere la nuova.
Non la vedevo bene in faccia perché il suo viso era completamente nascosto sul mio petto gelido. Nella caduta mi era finita sopra. L’unico particolare di lei che scorgevo bene erano i lunghi capelli neri,che fluttuavano alla brezza più leggera,liscissimi come se fossero stati stillati dalle mani del più abile artigiano di tutti i tempi,goccia dopo goccia,filo dopo filo. Teneva gli occhi chiusi,come se temesse che non fosse ancora finita.
Quando finalmente capì che era finita sul morbido,riaprì le palpebre che fecero da finestre a due occhi straordinari. Occhi che non avevo mai visto sul viso di una persona. Due occhi grigio chiaro. Due occhi che affogavano in un mare di dolcezza e contemporaneamente durezza. Due occhi che se avessero voluto avrebbero potuto spaventarti per la loro profondità,la loro vita silenziosa. Perché è proprio così … gli occhi sono la nostra identità,gli occhi di qualsiasi persona non saranno mai uguali a quelli di un’altra. Perché gli occhi di qualcuno si costruiscono nel tempo,forgiati dall’essere stesso.
Perché i suoi occhi si erano costruiti su mattoni di dolore.
Sembrava spaesata,ma non spaventata. Avevo la sensazione che impressionarla o spaventarla non fosse una mossa tanto semplice.
Lei mi guardò con incertezza,come se non sapesse cosa fare,ma poi si decise e disse:-Io … mi … mi dispiace. Non volevo. Non stavo guardando dove andavo,ero in ritardo. Scusa.
Le sussurrò appena queste parole,poi aiutandosi con i palmi delle mani si rialzò.
La imitai limitandomi a dire:-No,non è colpa tua. Neppure io stavo attento … non ti ho vista arrivare.
“Come se bastasse questo per farmi del male ...”pensai divertito. Cercai di incontrare il suo sguardo chiaro un’altra volta,ma lei sembrava evitarlo. Non mi importava. Continuai comunque a guardarla insistentemente,pensando tra me e me”Idiota!Smetti di guardarla!Ora penserà che sei un maniaco!Voltati e vattene”
Ma i miei pensieri erano in totale disaccordo con i miei occhi che continuavano a guardarla.
E lei continuava a non guardarmi,tenendo la testa bassa.
Inaspettatamente,senza preavviso,alzò la testa di scatto,guardandomi dritto in faccia. E vedendo che la fissavo le sue guance le si tinsero di rosso. Ma non un semplice rosso,come quello che mette in imbarazzo le persone che arrossiscono. Un rosso diverso,intenso,divorante. Un rosso che ti faceva sentire sui carboni ardenti solo a guardarlo.
Ma quel rosso fu l’ultimo dei miei pensieri:non avevo ancora visto il suo viso nella sua interezza,e quando alzò la testa rimasi impietrito di fronte a tanta bellezza.
Dire che era bella era un insulto. Era un angelo caduto dal cielo,un angelo che aveva sofferto,glielo si leggeva nello sguardo. Una angelo esile,piccolo,delicato. Un angelo che aveva bisogno di protezione,ma di protezione non ne aveva avuta.
Ma nella sua piccolezza,sembrava celare una forza d’animo sconvolgente,racchiusa sotto il profilo lisco e pallidissimo del viso sottile,dietro la chiarezza dello sguardo agghiacciante quasi,nel profondo dei capelli neri corvini lunghi fino alla vita che,portati dal vento,danzavano intorno al suo volto.
Nonostante tanta fragilità fosse trasparente,il suo essere intero celava alla perfezione ciò che pensava. Il suo volto restava una maschera di pietra,scolpita nella roccia da antichi scultori. I suoi occhi restavano fermi e gelidi,sferzanti gocce di torrente d’autunno.
La sua voce mi arrivò acida alle orecchie,come se mi stesse canzonando:-E tu che ci fai qui fuori?Pensavo che la lezione fosse già iniziata …
Sì,mi stava definitivamente prendendo in giro.
Non le risposi.
Il sorrisetto ironico sulle sue labbra svanì. Adesso sembrava ancora più piccola.
Non riuscivo a capire quanti anni avesse. Sembrava così piccola eppure così matura contemporaneamente. Decisi di chiederglielo:-Quanti anni hai?Sembri solo una bambina …
Pensai che non mi avrebbe risposto.
Invece lo fece:-17. Tu?
Sorrisi fra me e me:era davvero una bambina allora.
Con lo stesso sorriso risposi:-Sono più grande. Poco ma sicuro. Ho 20 anni. E per tua informazione non studio qui,non potrebbe importarmene di meno se la lezione è già iniziata oppure no. Mi andava solo di vedere che faccia avesse la nuova arrivata. Mademoiselle …
Simulai un inchino e girai i tacchi per andarmene.
Ma lei mi fermò,biascicando un”aspetta”.
Mi voltai.
Aspettai che continuasse:-Già che ci sei puoi dirmi anche il tuo nome. Ormai la prima ora l’ho saltata,aspetto che inizi la seconda …
Mi sorpresi,non pensavo mi avrebbe chiesto questo. Tutto ma non questo. Possibile che non avesse ancora saputo nulla?I pettegolezzi che giravano su di me e sul mio passato erano abbondanti come quelli che in questo momento giravano su di lei,con la sola differenza che prima poi si sarebbero stancati di torturarla,mentre per me era diverso:i pettegolezzi su di me giravano da tanto tempo ormai. Non sarebbe stato possibile fermarli. Ormai tutti sapevano chi ero … o meglio … cosa ero.
La guardai,infine risposi:- Cullen. Edward Cullen. Tu?
Mentivo spudoratamente. Sapevo già come si chiamava.
Ma volevo sentirmelo dire da lei.
Sorrise. Ma solo la sua bocca si incurvò,il suo sguardo rimase freddo:- Grace Kostner. Felice di averti incontrato allora … Edward Cullen.
Mentiva anche lei? Non lo sapevo.
…………………………………………
Chiusi gli occhi aspettando di sentire il dolore della caduta.
Non accadde.
Due forti braccia,gelide come il marmo,mi avevano stretta intorno alle spalle.
Chissà addosso a chi ero caduta …
Decisi di aprire gli occhi.
Vidi due pozzi neri,senza fondo,persi in un’epoca lontana. Vidi due pozzi freddi e calcolatori. Vidi due pozzi che erano due maschere di pietra. Due pozzi che erano pietra. Due pozzi che mi guardavano.
Mi persi in quei pozzi per non so quanto tempo,ma all’improvviso mi risvegliai,come da un incanto. Sbattei gli occhi con forza e balbettai:- Io … mi … mi dispiace. Non volevo. Non stavo guardando dove andavo,ero in ritardo. Scusa.
Posai entrambe le mani sul suo petto per aiutarmi ad alzarmi.
Mio Dio quanto era freddo!
Nonostante la stoffa della maglia mascherasse un po’ quel gelo,esso comunque restava e saliva come un alito leggero di vento stordendomi.
Mi rimisi in piedi e abbassai lo sguardo.
Si alzò anche lui a sua volta e sussurrò:- No,non è colpa tua. Neppure io stavo attento … Non ti ho vista arrivare.
Sentivo che lui mi fissava. Non sapevo perché mi fissasse così,ma mi dava noia,mi turbava.
Non mi piaceva essere al centro dell’attenzione,volevo soltanto essere lasciata tranquilla.
Ma lui continuava a guardarmi. Perché continuava a guardarmi?Non vedeva il mio disagio?
Decisi di affrontarlo. Alzai la tesa di scatto e lo fissai a mia volta.
Avrei preferito non farlo. Lo vidi come se fosse una visione. Come se stessi sognando. Non avevo mai visto un ragazzo come lui … MAI …
Era … diverso … da tutte le persone con cui avevo mai avuto a che fare. Aveva i capelli neri corvini,come i miei,un po’ troppo lunghi forse. Gli occhi erano neri e se possibile addirittura più scuri dei capelli. Sembravano così seri e consapevoli.
I lineamenti erano perfetti,le forme dritte. La pelle bianchissima e il viso squadrato e dai lineamenti sicuri e lisci,se non fosse stato per una lunga cicatrice che gli solcava il viso,partendo da poco sopra il sopracciglio sinistro,andando poi a tagliare la palpebra e la guancia fino a terminare sull’angolo della bocca. Ma questo lo rendeva solo più maturo,come qualcuno che ne ha passate tante.
In poche parole era bellissimo.
Ciò che però mi terrorizzava era la forma di quella cicatrice:una croce.
Era giovane,ma sembrava più grande di me,o forse era solo la sua aria sicura e indipendente a farlo sembrare tale.
Mi accorsi che mi fissava ancora. Sembrava imbambolato,come se anche lui avesse appena visto un sogno …
Un velo di isteria si impossessò di me e con tono amaro gli dissi,provocandolo:- E tu che ci fai qui fuori?Pensavo che la lezione fosse già iniziata …
Non si degnò di rispondermi.
E il sorrisetto ironico sparì dalle mie labbra. Lo avevo offeso probabilmente. Perché poi?Non mi aveva fatto niente di male.
Anzi!
Mi vergognavo di quello che gli avevo detto e mi sentivo in colpa. Che cosa mi importava poi se lui saltava la lezione,erano affari suoi,no?E poi probabilmente non studiava nemmeno lì,sembrava più grande di un ragazzo del liceo …
La sua voce mi riscosse dai miei pensieri dove mi maledicevo per aver parlato tanto in fretta:- Quanti anni hai?Sembri solo una bambina …
“A sì?Sarei una bambina ora?Non è che sei molto più grande di me sai?”
Pensai di non rispondere,ma alla fine lo feci:- 17. Tu?
“Grissino perché glielo hai chiesto?”mi maledissi,ma ormai il danno era fatto.
Lo vidi sorridere malizioso e con fare superiore disse:- Sono più grande. Poco ma sicuro. Ho 20 anni. E per tua informazione non studio qui,non potrebbe importarmene di meno se la lezione è già iniziata oppure no. Mi andava solo di vedere che faccia avesse la nuova arrivata. Mademoiselle …
Simulò un inchino trattenendo a mala pena una risatina ironica e si voltò per andarsene. Istintivamente allungai una mano per fermarlo,ma mi bloccai a mezz’aria:non ne avevo il coraggio.
Così mi limitai a chiamarlo:- Aspetta!
Sussurrai in tono impercettibile,ma sicura che avrebbe sentito.
Infatti si girò a guardarmi,ancore con quel maledetto sorrisino stampato in faccia. Mi dava su i nervi quando lo vedevo sorridere. Perché poi?Non smetteva un attimo di incurvare le labbra mostrando una fila di denti bianchissimi da copertina.
Inizialmente esitai,ma poi gli dissi prendendo coraggio:- Già che ci sei puoi dirmi anche il tuo nome. Ormai la prima ora l’ho saltata,aspetto che inizi la seconda …
Temei che non avrebbe risposto,ma con mio grande piacere mi sbagliavo. Dopo che mi ebbe fissato per non so quanto tempo disse:- Cullen. Edward Cullen. Tu?
Sorrisi,o almeno ci provai:- Grace Kostner. Felice di averti incontrato allora … Edward Cullen.
Con mia grande sorpresa mi resi conto di essere stata sincera:ero davvero felice di averlo incontrato.
Un imbarazzante silenzio scese fra di noi. Cercai qualcosa per spezzarlo,ma non ci riuscii.
Così mi limitai ad abbassare lo sguardo:sfortunatamente un’altra mia dote era la timidezza assoluta,che nemmeno un macigno riusciva a buttare giù. Quando non fingevo sotto la mia maschera di indifferenza e durezza,diventavo fragile sotto gli occhi di tutti. Sotto i miei prima di tutto.
Mi sentii di nuovo a disagio.
Ma perché … perché non potevo essere abbastanza forte da poter parlare,da non aver più paura?
E perché quella maledetta campanella della seconda ora non suonava? Perché non potevo semplicemente scappare dal suo sguardo di fuoco?
Stavo ancora pensando a quanto ero debole quanto lo sentii sussurrare:- Ecco … io … Io devo andare. Alla prossima allora … ehm … Grace …
Possibile che i santi del paradiso mi avessero sentito e avessero deciso di accontentare le mie preghiere una volta tanto?
No,probabilmente no. Perché nonostante avessi desiderato che se ne andasse,quando voltò le spalle e scomparve dietro l’angolo,un senso di vuoto mi invase. Ero stata bene con lui … nonostante non lo conoscessi. Non avrei voluto affrontare da sola il mio”primo”giorno di scuola media.
Perché,tecnicamente,era così:io avevo sempre studiato a casa,non ero mai stata in una vera scuola pubblica,e quella per me era una totale novità.
Mi sedetti sugli scalini di pietra e aspettai con il fiato in gola il momento di entrare.
Per descrivermi? Una sola parola:terrorizzata.
Uploaded with [URL=http://imag