Prima della Du Fyrn Skulblaka e prima che gli elfi diventassero effettivamente immortali, l’albero di Menoa fu creato quando la maestra incantatrice di piante Linnëa si fuse con il più antico albero della Du Weldenwarden.
Amore disprezzato
Fu una reazione inusuale ad un problema di vecchia data: si era innamorata di un uomo molto più giovane che, tuttavia, con il tempo aveva perso interesse. Linnëa alla fine scoprì che il suo amante la tradiva con una donna più giovane e lo pugnalò a morte in un impeto d’ira. Sapendo di non aver fatto la cosa giusta, e di non poter tornare ad una vita normale, Linnëa corse verso l’albero di Menoa, dove cantò per tre giorni e tre notti fino a che il suo corpo e la sua coscienza non divennero un tutt’uno con la pianta.
Guardiano della foresta
Divenne la guardiana della Du Weldenwarden, vegliando sulla foresta per migliaia di anni. A seguito della creazione dei cavalieri dei draghi, gli elfi tennero l’Agaeti Blöhdren alla base dell’albero di Menoa ogni cento anni. Le preparazioni del festival inclusero di porre delle lanterne a forma di lacrima su ognuno dei suoi rami, cantando alle vicine piante in modo che fiorissero e appendendo bandiere colorate, lanterne e fiocchi nella radura e nelle aree circostanti. Durante la celebrazione gli spettatori potevano percepire l’energia benefica emanata dall’enorme albero, mentre i suoi rami si muovevano a ritmo di musica.
Gli individui con la capacità di percepire la coscienza si meravigliavano della grandezza dell’albero di Menoa:
All’improvviso incontrò un’immensa entità, un essere senziente di una natura così colossale da non poter trovare i confini della sua psiche. Persino il vasto intelletto di Oromis, con cui Eragon era entrato in contatto nel Farthen Dûr, era modesto in confronto a questa presenza. L’aria stessa sembrava ronzare di energia e forza emanata da… dall’albero?
La fonte era inequivocabile.
Con deliberata e inesorabile volontà, i pensieri dell’albero si espansero a ritmo misurato, lento come l’avanzare del ghiaccio sul granito. Non si soffermò su Eragon, ne era certo, né sui singoli individui, ma abbracciò completamente tutte le cose che crescevano e prosperavano al sole, dall’apocino al giglio, dall’enagra alla serica digitale alla senape gialla che svettava alta dietro il melo selvatico dai boccioli purpurei. –Eldest
Una nuova spada per i Cavalieri dei Draghi
L’albero di Menoa infine fu vitale nel successo della guerra contro Galbatorix. A Eragon venne dato il criptico indizio dalla Volta delle Anime Eldunari (tramite Solembum) di cercare un’arma alla base dell’albero di Menoa. Nascosta tra le sue radici e a lei sconosciuta, era l’ultimo pezzo di acciaioluce accessibile – forse l’ultimo di tutta Alagaësia – necessario per fare una vera spada per i cavalieri dei draghi.
Quando Eragon e Saphira si avvicinarono l’albero per la prima volta in cerca di aiuto, durante gli eventi di Brisingr, spesero ore alla ricerca di un’arma già forgiata. Non trovarono nulla e i tentativi di conversare con lei furono vani. Il drago e il cavaliere che tornarono di nuovo, un altro giorno, iniziarono a realizzare che magari era acciaioluce, quello che stavano cercando. Ancora nessuna fortuna. I tentativi di conversare con l’albero di Menoa erano inutili e i doni di energia venivano ignorati. Questo andò avanti per ore finché Saphira perse la pazienza, dando fuoco al tronco dell’albero. Questo risolse la situazione. Adesso finalmente Eragon e Saphira erano riusciti ad ottenere la completa attenzione dell’albero di Menoa, le loro gambe trattenute dalle sue radici. Gli Elfi arrivarono correndo in sua difesa, quindi aspettarono in silenzio nei paraggi quando capirono che la situazione era sotto controllo. Quando Eragon e Saphira riuscirono a placarla abbastanza da evitare una morte imminente, Eragon acconsentì a darle qualunque cosa lei volesse in cambio del frammento di acciaioluce. Ora che il minerale era ai piedi di Eragon, l’albero di Menoa lasciò il cavaliere e il drago per la loro strada senza chiedere nulla in cambio, con grande sorpresa di lui.
In seguito Orimis spiegò che lui e Glaedr dovettero calmare quasi la metà degli elfi di Ellesmera, che insistevano perché il vecchio cavaliere e il suo compagno aiutassero l’albero di Menoa. Inoltre, Oromis intervenne in modo che Gilderian il saggio non punisse il ragazzo e il suo drago. Tra la minaccia dell’albero stesso di Menoa e dei molti elfi di Ellesmera – per non parlare di Gilderian il saggio – Eragon e Saphira furono abbastanza fortunati ad uscirne vivi e, addirittura, con ciò che cercavano. Con questo forgiarono la spada Brisingr.
Dopo la sconfitta di Galbatorix, Eragon andò a visitare l’albero di Menoa ancora una volta prima che lui e Saphira lasciassero Alagaësia per sempre. Tornò per mantenere la sua promessa ma l’albero aveva semplicemente detto, ‘vai‘.
Così lui obbedì, ignorando completamente il prezzo che aveva già pagato per l’aiuto dell’albero di Menoa.
Un pino solitario svettava al centro della radura. Non più alto del resto dei suoi simili, era però largo quando un centinaio di tronchi messi insieme; in confronto, gli altri pini sembravano giovani alberelli in balia del vento. Un tappeto di radici si estendeva dal tronco massiccio, coprendo il terreno di venature legnose che davano l’impressione che l’intera foresta nascesse dall’albero, come se fosse il cuore della Du Weldenvarden stessa. L’albero troneggiava nel bosco come una matriarca benevola, proteggendo i suoi abitanti sotto il tetto dei suoi rami. -Eldest
Largo quanto un centinaio di tronchi di pino messi insieme, svettava verso il cielo come un possente pilastro sormontato da una chioma gigantesca del diametro di migliaia di piedi. Dall’enorme tronco coperto di muschio un tappeto di radici nodose e contorte si irradiava per più di dieci acri prima di penetrare nella profondità del terreno molle, scomparendo sotto gli alberi della foresta. Intorno all’albero di Menoa l’aria era umida e fredda, e una rada ma perenne bruma scivolava dall’intrico di aghi, bagnando le ampie felci ammassate alla base del tronco. Scoiattoli rossi correvano lungo i rami dell’antico albero, e gli allegri richiami e i cinguettii di centinaia di uccelli risuonavano dalle profondità del denso fogliame. L’intera radura era pervasa da un senso di vigile presenza, perché l’albero conteneva i resti dell’elfa un tempo conosciuta come Linnëa, la cui coscienza ora guidava la crescita di quel tronco e della foresta circostante. –Brisingr